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Torna all'elenco28/10/2016
Manuale di tessitura del cambiamento: il connessionismo di Miriam Gandolfi
Il testo di Miriam Gandolfi, edito da Giovanni Fioriti e presentato presso la Casa della Psicologia, il 20 ottobre 2016, in conversazione con il prof. Attà Negri, psicoterapeuta e ricercatore della Società Italiana di Psicoanalisi della Relazione, è veramente un manuale scientifico. E’ un testo assai voluminoso, giustamente pretenzioso nel titolo, che si pone il non modesto obiettivo di rifondare la psicoterapia come scienza conversazionale, costruzionista, nella sua più evoluta e sofisticata versione connessionista.
L’autrice desiderava studiare matematica e fisica, ma al liceo, si innamora di Freud e cambia strada d’improvviso, non senza pagare il prezzo di una significativa perdita di prestigio intellettuale, agli occhi dei suoi (furenti) insegnanti di matematica e fisica. Tuttavia, la passione per la fisica, per la teoria dei sistemi, per la matematica e Goedel, le restano profondamente addosso, e le fanno da guida, negli straordinari incontri successivi, con Bateson, Watslavick, Selvini Palazzoli, ma anche con le neuroscienze e i più moderni riferimenti cognitivisti.
Il tutto, beninteso, non in una sontuosa insalata, dove tutto può stare con tutto, ma reinserito in una rigorosa teoria del funzionamento della mente, che è fondamentalmente data dall’incontro del biologico con la dimensione gruppale, cooperativa, conversazionale. L’autrice non si limita tuttavia a dire che la mente è relazionale, e che la biologia si modifica, nell’incontro con la relazione, con il linguaggio, con lo scambio etologico. Ci porta con rigore lungo la strada che costruisce il “come”, o almeno, ci permette di inferirlo, di ipotizzarlo, di ricostruirlo, attraverso la filatura e sfilatura delle matasse di senso, in cui i soggetti sono impigliati.
I tessuti, le connessioni e le articolazioni di colori differenti, di nodi, stratificazioni, sono metafora ma anche strumento di cui l’autrice si serve per accompagnarci nell’ascolto dei giochi relazionali.
La percezione come Gestalt, fondamentalmente visiva, come struttura articolata, con una sua tenuta tonica e dinamica, è il prodotto di un atto soggettivo. La percezione della realtà in cui siamo immersi, anche dal punto di vista emotivo, implica questo atto soggettivo e questo aggiustamento continuo, mediato dagli organi di senso, ma principalmente dalla vista. Se il terapeuta è in grado, tramite l’ascolto attento e il disinnesco di alcuni nodi (doppio legame, alleanze, per esempio), di mostrare al soggetto queste ricorsività, egli può “vedere” gestalticamente le cose in una forma diversa e attraverso questi insight può essere quindi aiutato a cambiare. Ogni volta che alcuni pattern si sciolgono, il cambiamento avviene come conseguenza, ma su questo si può poi, ancora lavorare di cesello. Miriam Gandolfi non dà prescrizioni di comportamento, ma permette al soggetto di “vedersi visto” nelle sue impasse. Ogni sintomo ha una sua immensa portata comunicativa nei contesti sociali, nei gruppi allargati, e ha sempre una precisa funzione omeostatica.
Miriam Gandolfi recupera il sapere antropologico, ecologico, e in particolare la dimensione cooperativa dei gruppi collettivi (anche nel mondo animale), per spiegare la funzione, il senso, la logica, che il sintomo riveste. Ascoltare, comprendere la costellazione sottesa da una determinata organizzazione di significati, agire su alcuni snodi tipici, permette, con l’aiuto del soggetto implicato nella cura - che sia presente fisicamente, o convocato indirettamente - di modificare progressivamente le comunicazioni in gioco e di restituire ai soggetti la loro parola, e con essa, un diverso ruolo nello spazio/tempo della famiglia e della comunità.
Il libro, è generoso nel presentare, con un linguaggio chiaro e una scrittura piacevolissima, una casistica variegata, che va dal soggetto adulto con disabilità, alla giovane madre depressa, passando attraverso il bambino in difficoltà o la ragazza anoressica, o psicotica, figure classiche della clinica sistemica.
Il messaggio, il lascito, l’eredità etico-politica del testo, è fondamentalmente un appello ai Colleghi psicologi e psicoterapeuti a non appiattirsi sul paradigma medico, ma nello stesso tempo, a non lasciarsi tentare da scappatoie new age o da modelli non falsificabili.
Il paradigma della complessità, la teoria dei sistemi non lineari, è qualcosa che le scienze “dure” hanno già abbracciato, abbandonando le modalità di ragionamento care alla fisica e alla logica classica. Questo tuttavia, non significa che gli strumenti di indagine e i sistemi di rendicontazione degli interventi, possano fare a meno di ipotesi di partenza e di un impianto rigoroso.
Il modello connessionista, nasce nell’alveo della sistemica classica, ma sviluppa una sua peculiarità, ed è in continua evoluzione, grazie alla pratica clinica che ha portato la dott.ssa Gandolfi a operare in numerose istituzioni, con le patologie più variegate, dall’handicap psico-fislico, all’anoressia, alla psicosi, ai disturbi in età evolutiva. Colpisce e affascina, nel discorso dell’autrice, la sua capacità di annodare sempre interno ed eterno, storia e microstoria, gruppo e corpo.
La psicologia, ci dice l’autrice, ha in mano strumenti ben più potenti e duttili per affrontare la complessità e il disagio nel mondo dei viventi, rispetto al paradigma medico. Occorre soltanto riconoscerli e appropriarsene davvero. Il manuale indica una possibile traiettoria per riprendere la direzione giusta.
L’autrice desiderava studiare matematica e fisica, ma al liceo, si innamora di Freud e cambia strada d’improvviso, non senza pagare il prezzo di una significativa perdita di prestigio intellettuale, agli occhi dei suoi (furenti) insegnanti di matematica e fisica. Tuttavia, la passione per la fisica, per la teoria dei sistemi, per la matematica e Goedel, le restano profondamente addosso, e le fanno da guida, negli straordinari incontri successivi, con Bateson, Watslavick, Selvini Palazzoli, ma anche con le neuroscienze e i più moderni riferimenti cognitivisti.
Il tutto, beninteso, non in una sontuosa insalata, dove tutto può stare con tutto, ma reinserito in una rigorosa teoria del funzionamento della mente, che è fondamentalmente data dall’incontro del biologico con la dimensione gruppale, cooperativa, conversazionale. L’autrice non si limita tuttavia a dire che la mente è relazionale, e che la biologia si modifica, nell’incontro con la relazione, con il linguaggio, con lo scambio etologico. Ci porta con rigore lungo la strada che costruisce il “come”, o almeno, ci permette di inferirlo, di ipotizzarlo, di ricostruirlo, attraverso la filatura e sfilatura delle matasse di senso, in cui i soggetti sono impigliati.
I tessuti, le connessioni e le articolazioni di colori differenti, di nodi, stratificazioni, sono metafora ma anche strumento di cui l’autrice si serve per accompagnarci nell’ascolto dei giochi relazionali.
La percezione come Gestalt, fondamentalmente visiva, come struttura articolata, con una sua tenuta tonica e dinamica, è il prodotto di un atto soggettivo. La percezione della realtà in cui siamo immersi, anche dal punto di vista emotivo, implica questo atto soggettivo e questo aggiustamento continuo, mediato dagli organi di senso, ma principalmente dalla vista. Se il terapeuta è in grado, tramite l’ascolto attento e il disinnesco di alcuni nodi (doppio legame, alleanze, per esempio), di mostrare al soggetto queste ricorsività, egli può “vedere” gestalticamente le cose in una forma diversa e attraverso questi insight può essere quindi aiutato a cambiare. Ogni volta che alcuni pattern si sciolgono, il cambiamento avviene come conseguenza, ma su questo si può poi, ancora lavorare di cesello. Miriam Gandolfi non dà prescrizioni di comportamento, ma permette al soggetto di “vedersi visto” nelle sue impasse. Ogni sintomo ha una sua immensa portata comunicativa nei contesti sociali, nei gruppi allargati, e ha sempre una precisa funzione omeostatica.
Miriam Gandolfi recupera il sapere antropologico, ecologico, e in particolare la dimensione cooperativa dei gruppi collettivi (anche nel mondo animale), per spiegare la funzione, il senso, la logica, che il sintomo riveste. Ascoltare, comprendere la costellazione sottesa da una determinata organizzazione di significati, agire su alcuni snodi tipici, permette, con l’aiuto del soggetto implicato nella cura - che sia presente fisicamente, o convocato indirettamente - di modificare progressivamente le comunicazioni in gioco e di restituire ai soggetti la loro parola, e con essa, un diverso ruolo nello spazio/tempo della famiglia e della comunità.
Il libro, è generoso nel presentare, con un linguaggio chiaro e una scrittura piacevolissima, una casistica variegata, che va dal soggetto adulto con disabilità, alla giovane madre depressa, passando attraverso il bambino in difficoltà o la ragazza anoressica, o psicotica, figure classiche della clinica sistemica.
Il messaggio, il lascito, l’eredità etico-politica del testo, è fondamentalmente un appello ai Colleghi psicologi e psicoterapeuti a non appiattirsi sul paradigma medico, ma nello stesso tempo, a non lasciarsi tentare da scappatoie new age o da modelli non falsificabili.
Il paradigma della complessità, la teoria dei sistemi non lineari, è qualcosa che le scienze “dure” hanno già abbracciato, abbandonando le modalità di ragionamento care alla fisica e alla logica classica. Questo tuttavia, non significa che gli strumenti di indagine e i sistemi di rendicontazione degli interventi, possano fare a meno di ipotesi di partenza e di un impianto rigoroso.
Il modello connessionista, nasce nell’alveo della sistemica classica, ma sviluppa una sua peculiarità, ed è in continua evoluzione, grazie alla pratica clinica che ha portato la dott.ssa Gandolfi a operare in numerose istituzioni, con le patologie più variegate, dall’handicap psico-fislico, all’anoressia, alla psicosi, ai disturbi in età evolutiva. Colpisce e affascina, nel discorso dell’autrice, la sua capacità di annodare sempre interno ed eterno, storia e microstoria, gruppo e corpo.
La psicologia, ci dice l’autrice, ha in mano strumenti ben più potenti e duttili per affrontare la complessità e il disagio nel mondo dei viventi, rispetto al paradigma medico. Occorre soltanto riconoscerli e appropriarsene davvero. Il manuale indica una possibile traiettoria per riprendere la direzione giusta.
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