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Presunto abuso

La condotta del delitto di esercizio abusivo della professione di psicologo si potrebbe delineare ogniqualvolta un soggetto, privo dell’abilitazione statale o, comunque, non iscritto all’Albo professionale – Sez. A, compia uno o più atti riservati e specificati nell agli psicologi.

La Corte di Cassazione, ha precisato inoltre, a tale riguardo, come il reato si configuri anche laddove il presunto abusivo compia uno o più atti tipici saltuariamente, o addirittura in una sola occasione, ed ha escluso la rilevanza dell’errore sulle norme che qualificano l’attività professionale, per cui il presunto abusivo non potrà in alcun caso invocare, a propria discolpa, l’ignoranza o l’errata interpretazione della legge 56/89.

Quali sono gli atti riservati allo psicologo?
Lo psicologo è una figura professionale orientata al miglioramento della qualità della vita dell’individuo e solitamente, a tale scopo, può avvalersi di alcuni strumenti scientifici che nascono da una teoria e da una sperimentazione (es. test, colloquio psicologico - individuale, famigliare, di coppia).

Lo psicologo è inoltre legalmente autorizzato ad utilizzare tali metodologie ai fini della diagnosi (dare un nome al disturbo riferito dal paziente, es. depressione, anoressia, disturbo ossessivo-compulsivo ecc.) e del sostegno/riabilitazione in ambito psicologico, per aiutare la persona a superare situazioni emotive e relazionali specifiche e a ripristinare uno stato di benessere e salute.

Quali sono i casi più frequenti di esercizio abusivo della professione?
L’esercizio abusivo della professione più frequente riguarda quei professionisti non psicologi, che operano utilizzando atti tipici di questa professione: il medico che offre supporto psicologico senza un adeguato training formativo alle spalle, esperti in educazione, pedagogia che sconfinano negli ambiti specifici della nostra attività; counselor che intervengono a scopo terapeutico nella relazione d’aiuto.

Altri casi altrettanto comuni sono quelli in cui persone prive di qualsiasi formazione  - spesso identificati con etichette equivoche, fuorvianti, non esistenti o non riconosciute dalla comunità scientifica – compiono, nel privato, atti tipici dello psicologo.

Alcune criticità nel riuscire a dimostrare l’effettivo abuso della professione di psicologo
Se può essere semplice individuare i casi di esercizio abusivo del titolo professionale, poiché la persona si attribuisce denominazioni di carattere psicologico (psicologo psicoterapeuta, sostegno psicologico ecc.) senza possederne i requisiti formativi e professionali specifici, l’individuazione delle condotte penalmente rilevanti ai fini dell’effettiva attestazione di esercizio abusivo della professione, invece, non è sempre così agevole.

L’articolo 1 della legge 56/89 presenta infatti alcune criticità e, in particolare, non definisce in maniera chiara e dettagliata quali siano gli “atti tipici” della professione di psicologo. Questo determina una certa difficoltà nel raccogliere elementi probatori concreti in relazione alla natura delle prestazioni di chi potrebbe esercitare abusivamente la professione.

Alcuni elementi utili che il segnalante potrebbe fornire in relazione a tale scopo sono pertanto:

- la disponibilità a effettuare una testimonianza diretta, poiché spesso è possibile instaurare un procedimento civile per la refusione del danno;

- delle prove documentali inequivocabili riguardanti la prestazione: relazioni, ricevute, fatture e quant’altro possa rendere più tangibile la segnalazione.
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