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04/11/2016
L'inconscio in classe: il racconto di un uso "inappropriato" della scuola
immagine articolo L'inconscio in classe: il racconto di un uso Resoconto della presentazione del libro “L’inconscio in classe, il piacere di capire e quel che lo guasta” di Marco Focchi, 26 ottobre 2016, Casa della Psicologia.

Si è tenuto, alla Casa della Psicologia l’incontro di presentazione del testo “L’inconscio in classe”, parte della rassegna “inconscio e società”, in presenza dei discussant Anna Lisa Mazzoleni, psicologa scolastica, ricercatrice Sipre e coordinatrice di scuole dell’infanzia, e Luciana La Stella, psicoanalista, filosofa, manager della cultura e dell’editoria.

Il testo nasce dal felice incontro, risalente al secolo scorso, fra una preside milanese, e lo psicoanalista Marco Focchi, attorno all’autismo.

L’esperienza comincia a oltre 15 anni fa, ed è dunque pionieristica, nel suo genere. Lo psicoanalista, interrogato come “esperto esterno”, viene chiamato dentro la scuola, per risolvere problemi, placare ansie, distribuire saperi e legittimare procedure attorno all’enigma dell’autismo infantile.

In realtà, egli entra in punta di piedi, gira fra i banchi, ascoltando il respiro dei bambini, chini sul loro foglio da disegno. Osserva quei grafemi colorati, ricchi e misteriosi, li ascolta, più che osservarli. Ascoltare i disegni significa mettere fra parentesi la dimensione diagnostica del segno, ma anche non cedere alla tentazione di privare quei prodotti della loro forza misteriosa e della loro carica comunicativa.

“Gli insegnanti, mi chiedevano di dare un senso a quei disegni, mentre io li ascoltavo, li guardavo nella loro struttura e per ciò che raccontavano del mondo del bambino. Cercavo di tenere aperta la tensione, fra senso e segno, fra traccia e racconto”. I disegni dunque, non vengono privati completamente del loro valore di rivelazione di una scena “altra”, ma nello stesso tempo, l’esperto si sottrae dalla posizione di “supposto sapere”.

Il discorso del disegno, apre al discorso del bambino, a quello che c’è attorno al bambino. Il mondo degli adulti, le aspettative, le dimensioni di senso nelle quali il bambino è implicato.

Se una classe è nel caos, se è persa la capacità di attenzione e di lavoro, dietro c’è sicuramente una impasse del mondo adulto. Un conflitto, una serie di non detti, di muri. Nell’era dell’evaporazione del padre, la scuola si popola di educatori smarriti, alla ricerca di qualcuno che dia loro l’autorità per decidere, la responsabilità per rispondere. Questa autorevolezza, questa “parola che promulga”, come la chiama l’autore, viene cercata nella scienza, nell’esperto. Ma l’autorevolezza che manca è nell’ascolto e nello sguardo attento, nell’accoglimento delle istanze del bambino ma anche dell’adulto che di lui si prende cura. I conflitti sempre più frequenti, nella scuola, sono conflitti dove la componente immaginaria è molto invadente. Genitori contro insegnanti, il “dentro” e “fuori” che si fronteggiano, adempimenti burocratici e timori per la salute, tutto diventa motivo di scontro, su questo teatro dove l’autorità edipica è tramontata, dove ognuno è contro tutti e dove una nuova forma di autorevolezza fa fatica a farsi strada. In questo contesto, l’analista, semplicemente, ascolta le diverse istanze e si fa porta-voce, in senso letterale, delle buone ragioni di tutti, e bonifica la scena dall’immaginario, restituendo agli interlocutori una conversazione possibile.

Il lavoro psicoanalitico, sia nello studio privato che nei contesti gruppali, parte dalla semplice constatazione che con gli esseri viventi la scienza galileiana, lineare, mono causale, semplicemente non può essere in gioco. Applicare il modello lineare agli organismi viventi, che siano le persone o i gruppi, ma anche gli animali in interazione fra loro, non è pertinente.

I sistemi complessi interagiscono mettendo in gioco fattori motivazionali, aspettative, azioni e reazioni, in cui la complessità e l’interconnessione di piani va tenuta sempre presente, così come sempre presente va tenuta la posizione, il desiderio, le aspettative, di chi osserva e interagisce.

Il lavoro, quindi, è lavoro di ascolto, di disinnesco, di valorizzazione del desiderio degli operatori, al di là della ricetta e della soluzione pret à porter.

All’adulto, che sia insegnante o genitore, si indica la via per riappropriarsi del proprio ruolo di interlocutori attivi, al bambino in difficoltà, e ai suoi genitori, si apre lo spiraglio per poter rianimare una storia, orientare lo sguardo verso un’origine, un racconto. Un racconto o più di uno, in grado di ridare fiato, di riarticolare e sbloccare il gioco, di riannodare i fili in un rammendo. Il lavoro dello psicoanalista, dunque, è un lavoro artigianale, che non è scevro tuttavia da un sapere anche molto complesso, ma che è “nelle mani dell’artista, che sente la materia, mentre la materia sente, è sensibile al tocco dell’artista-artigiano”.

Anche i fantasmi di patologia, e la loro presenza sempre più ingombrante e spersonalizzante, l’autismo, dunque, o il BES o il DSA, vengono mesi sullo sfondo. In figura c’è il bambino, le sue aspettative, il suo assumersi o non assumersi il ruolo di paziente designato, ma c’è anche il contesto, la classe, il quartiere, la città. Lo psicoanalista nell’istituzione aiuta a districare i pensieri che si incrociano, ascolta i disegni e lascia cadere ciò che sembra in figura, mentre accoglie i frammenti e ascolta i disegni. Si mette accanto, aspetta, non ha fretta.
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