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14/10/2016
Cyberbullismo e mutazioni antropologiche: il dialogo intergenerazionale è ancora possibile?
Il 28 Settembre, alla Casa della Psicologia, in presenza di un uditorio folto e attento, Claudia Sposini e Luca Mazzucchelli hanno parlato delle nuove sfide del web, delle opportunità e dei rischi che questi meravigliosi strumenti comportano, per tutti noi, e in modo forse particolarmente significativo per le nuove generazioni.
Lo hanno fatto in occasione della presentazione del libro della dott.ssa Sposini “Il metodo anti cyberbullismo. Per un uso consapevole di Internet e dei Social Netowork”. I nuovi strumenti, entrati prepotentemente nella nostra vita quotidiana, sono diventati in pratica vere e proprie estensioni del nostro corpo, dei nostri sensi. Se fino a dieci anni fa il PC o il telefono erano marginali nella nostra vita, oggi questi strumenti ci accompagnano sempre: per contattare gli amici, per ascoltare musica, per metterci in contatto, per fare un biglietto aereo, per fare acquisti, per vedere film o per accompagnare le nostre fantasie sessuali.
Anche i giovanissimi, e persino i bambini, vivono questa realtà come parte della loro più intima quotidianità “tattile”, al punto che – riferisce Mazzucchelli – da un sondaggio risulterebbe che oltre il 50% dei “millenials” (nati dal 1990 in avanti) preferirebbe privarsi dell’olfatto piuttosto che perdere la connessione al web.
Se un simile accostamento può sembrarci strano, in realtà è esperienza quotidiana quella di vedere quanta parte, nella vita di relazione e nell’esperienza del mondo, questi strumenti abbiano ormai assunto.
I giovani sono spesso, peraltro, molto più esperti dei genitori e degli insegnanti, degli adulti in genere, nell’uso di questi dispositivi. Tuttavia, a questa padronanza e familiarità, fa spesso riscontro una consapevolezza imperfetta dei contesti, e della complessità che determinate comunicazioni o azioni possono comportare.
Il “tutto e subito” della condivisione, l’assenza di spesa e l’assenza di pensiero anticipatorio che accompagnano queste azioni “seriali”, portano facilmente ad equivocare e a sottovalutare, o comunque a non soppesare, le conseguenze di un’azione, di una frase, o di una foto inviata in gruppi anche ristretti.
Entrando poi nel merito degli aspetti clinici, la dott.ssa Sposini ha messo in risalto come il fenomeno del cyberbullismo sia estremamente diffuso, anche fra la popolazione adolescenziale femminile, e come i comportamenti violenti in rete (stalking, insulti, critiche, esclusione) possano sfuggire completamente agli adulti.
Come ricreare un contatto, una dialogo fra il mondo degli educatori e quello dei giovani? Non è certo il divieto o la negazione dei cambiamenti in atto, il modo migliore per affrontare questi problemi e per rispondere a queste sfide, anche sul piano educativo.
Spesso si rischia di rifiutare ciò che non si conosce, e per l’adulto è difficile accettare un così paradossale cambiamento di prospettiva: sono i figli che devono aiutare i genitori a comprendere di cosa si tratta, cosa sono e come funzionano gli strumenti sui quali poi siamo chiamati a vigilare.
Tuttavia, gli psicologi, gli educatori e i professionisti della relazione d’aiuto, sono abituati a questo “apprendimento dall’esperienza”. Metterci accanto ai nostri figli, cercare di capire e di accompagnarli nelle loro esperienze, responsabilizzandoci e non delegando alla tecnologia il nostro compito educativo, è il modo migliore per recuperare un ruolo e una padronanza della relazione, anche sul piano emotivo.
Alcuni Colleghi hanno portato le loro esperienze di intervento nelle scuole secondarie di primo e secondo grado, esperienze di prevenzione e di educazione all’uso dei media, mettendo in luce l’importanza di strumenti (dallo psicodramma al teatro, dall’uso della telecamera alla partecipazione a concorsi a premi per la costruzione di messaggi sociali, ecc.) interattivi, utilizzati insieme ai giovani, e in grado di riattivare la sensibilità all’Altro, l’empatia, il senso di appartenenza, la solidarietà, la cooperazione, lo scambio di prospettive e punti di vista.
Sono stati poi passati in rassegna ed esaminati alcuni specifici esempi di cyber bullismo, con particolare riferimento alle strutture caratteriali e ai pattern psicopatologici predisponenti o alle patologie concomitanti. La riflessione ha messo in luce l’incidenza di problematiche della sfera narcisistica, nonché la presenza, in molti casi, di patologie legate all’alimentazione e all’immagine del corpo.
Il rapporto fra corpo, gruppo e nuove tecnologie ha caratterizzato la riflessione successiva, che ha coinvolto, fra gli altri, la dott.ssa Maria Vittoria Ludovici, la dott.ssa Laura Pigozzi e dott. Alessandro Pieri, spaziando poi anche alle questioni giuridiche e agli aspetti più propriamente penali che sono spesso implicati.
Lo hanno fatto in occasione della presentazione del libro della dott.ssa Sposini “Il metodo anti cyberbullismo. Per un uso consapevole di Internet e dei Social Netowork”. I nuovi strumenti, entrati prepotentemente nella nostra vita quotidiana, sono diventati in pratica vere e proprie estensioni del nostro corpo, dei nostri sensi. Se fino a dieci anni fa il PC o il telefono erano marginali nella nostra vita, oggi questi strumenti ci accompagnano sempre: per contattare gli amici, per ascoltare musica, per metterci in contatto, per fare un biglietto aereo, per fare acquisti, per vedere film o per accompagnare le nostre fantasie sessuali.
Anche i giovanissimi, e persino i bambini, vivono questa realtà come parte della loro più intima quotidianità “tattile”, al punto che – riferisce Mazzucchelli – da un sondaggio risulterebbe che oltre il 50% dei “millenials” (nati dal 1990 in avanti) preferirebbe privarsi dell’olfatto piuttosto che perdere la connessione al web.
Se un simile accostamento può sembrarci strano, in realtà è esperienza quotidiana quella di vedere quanta parte, nella vita di relazione e nell’esperienza del mondo, questi strumenti abbiano ormai assunto.
I giovani sono spesso, peraltro, molto più esperti dei genitori e degli insegnanti, degli adulti in genere, nell’uso di questi dispositivi. Tuttavia, a questa padronanza e familiarità, fa spesso riscontro una consapevolezza imperfetta dei contesti, e della complessità che determinate comunicazioni o azioni possono comportare.
Il “tutto e subito” della condivisione, l’assenza di spesa e l’assenza di pensiero anticipatorio che accompagnano queste azioni “seriali”, portano facilmente ad equivocare e a sottovalutare, o comunque a non soppesare, le conseguenze di un’azione, di una frase, o di una foto inviata in gruppi anche ristretti.
Entrando poi nel merito degli aspetti clinici, la dott.ssa Sposini ha messo in risalto come il fenomeno del cyberbullismo sia estremamente diffuso, anche fra la popolazione adolescenziale femminile, e come i comportamenti violenti in rete (stalking, insulti, critiche, esclusione) possano sfuggire completamente agli adulti.
Come ricreare un contatto, una dialogo fra il mondo degli educatori e quello dei giovani? Non è certo il divieto o la negazione dei cambiamenti in atto, il modo migliore per affrontare questi problemi e per rispondere a queste sfide, anche sul piano educativo.
Spesso si rischia di rifiutare ciò che non si conosce, e per l’adulto è difficile accettare un così paradossale cambiamento di prospettiva: sono i figli che devono aiutare i genitori a comprendere di cosa si tratta, cosa sono e come funzionano gli strumenti sui quali poi siamo chiamati a vigilare.
Tuttavia, gli psicologi, gli educatori e i professionisti della relazione d’aiuto, sono abituati a questo “apprendimento dall’esperienza”. Metterci accanto ai nostri figli, cercare di capire e di accompagnarli nelle loro esperienze, responsabilizzandoci e non delegando alla tecnologia il nostro compito educativo, è il modo migliore per recuperare un ruolo e una padronanza della relazione, anche sul piano emotivo.
Alcuni Colleghi hanno portato le loro esperienze di intervento nelle scuole secondarie di primo e secondo grado, esperienze di prevenzione e di educazione all’uso dei media, mettendo in luce l’importanza di strumenti (dallo psicodramma al teatro, dall’uso della telecamera alla partecipazione a concorsi a premi per la costruzione di messaggi sociali, ecc.) interattivi, utilizzati insieme ai giovani, e in grado di riattivare la sensibilità all’Altro, l’empatia, il senso di appartenenza, la solidarietà, la cooperazione, lo scambio di prospettive e punti di vista.
Sono stati poi passati in rassegna ed esaminati alcuni specifici esempi di cyber bullismo, con particolare riferimento alle strutture caratteriali e ai pattern psicopatologici predisponenti o alle patologie concomitanti. La riflessione ha messo in luce l’incidenza di problematiche della sfera narcisistica, nonché la presenza, in molti casi, di patologie legate all’alimentazione e all’immagine del corpo.
Il rapporto fra corpo, gruppo e nuove tecnologie ha caratterizzato la riflessione successiva, che ha coinvolto, fra gli altri, la dott.ssa Maria Vittoria Ludovici, la dott.ssa Laura Pigozzi e dott. Alessandro Pieri, spaziando poi anche alle questioni giuridiche e agli aspetti più propriamente penali che sono spesso implicati.
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Slide dell'autrice - Il metodo anti-cyberbullismo
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