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Torna all'elenco16/02/2016
Efficacia e utilità nell'erogazione delle cure: un binomio impossibile per la psicologia?

Sono tutte domande non certo di oggi o di ieri, che la psicologia di comunità e in generale la psicologia della salute si pone da decenni, e da decenni è stata in grado di offrire risposte sorprendenti. Che le cure psicologiche in ambito medico e ospedaliero siano efficaci, non è una novità. Non è una novità neanche che spesso facciano risparmiare. Resta comunque la forte necessità di intessere un dialogo profondo con le discipline più propriamente sanitarie, dal momento che l’ottica medica non è l’ottica della soggettività. E’ un bene che sia così, intendiamoci, i grandi progressi che abbiamo fatto in questo ultimo secolo, e sempre di più, decennio dopo decennio, anno dopo anno, dipendono dalla protocollizzazione degli interventi e dall’approccio evidence based che si adotta in medicina. Tuttavia, la psicologia basata sulle prove spesso si trova a dover suggerire delle discontinuità alla medicina stessa, ai modi in cui la medicina organizza le cure, al modo in cui comunica ma non solo. E’ grazie all’approccio alla soggettività e alla complessità, che in questi ultimi anni il discorso si è spostato sulla prevenzione, più che sulla cura o sulla diagnosi precoce. Dalla prevenzione, il passo verso gli stili di vita è molto breve; parlare di stili di vita corretti, significa parlare di abitudini, di culture, di appartenenze, di reti. Un approccio efficace in ambito sanitario, è spesso un approccio che fa risparmiare denaro alla collettività laddove si riesce realmente a superare la logica della “presa in carico” e si va verso un profondo coinvolgimento di più attori sociali, compreso il paziente e la sua famiglia, nel processo di cura. Malattie croniche, a fortissimo impatto sociale e fortemente determinate dagli stili di vita, sono oggi la sfida principale che la medicina ospedaliera e la psicologia della salute si trova ad affrontare: invecchiamento progressivo della popolazione a ritmi impensabili fino a 50 anni fa, quadri cronici, controllo del dolore, disturbi alimentari e obesità, tabagismo e dipendenze di ogni sorta anche senza sostanza, patologie cardiovascolari, disabilità grave, depressione e disturbi psichiatrici, traumi in ambito infantile e adolescenziale. L’elenco potrebbe continuare. Curare a lungo tutte queste patologie quando già si sono instaurate, ha un costo enorme per la società e per il SSN. Dunque le cure, mediche e psicologiche, sono certamente efficaci, ma non utili per il sistema. E’ una bestemmia? Si può anche solo pensare che rispetto ai criteri di utilità la morte dei pazienti già malati cronici, è più utile, in termini economici? La sfida va comunque affrontata, e per ristrutturare il campo, e riformulare la questione, occorre porsi il problema della prevenzione nel senso del poter incidere sugli stili di vita, sulle distribuzione delle risorse economiche ma anche culturali, il ché significa, in una parola, impowerment, partecipazione, condivisione. Ma anche libertà di scelta, rispetto delle decisioni, sostegno alla comprensione e alla partecipazione dei pazienti e dei loro familiari, alle decisioni e alle scelte di cura.
La rassegna, nelle prossime serate previste, entrerà nel merito dei diversi aspetti con cui la psicologia si confronta concretamente con questi temi in ambito ospedaliero: la comunicazione medico paziente (23 febbraio, con la dott.ssa Roberta Milanese), l’ipnosi eriksoniana e il controllo del dolore nella malattia avanzata (24 Maggio dott.ssa Monica Belletti), e infine l’approccio psicosomatico ai quadri complessi e alle nuove patologie (31 Maggio, dott. Riccardo Scognamiglio)
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