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19/12/2016
EMDR in psico-oncologia, la psicologia professionale promuove innovazione, dialogo fra discipline e integrazione delle cure.
immagine articolo EMDR in psico-oncologia, la psicologia professionale promuove innovazione, dialogo fra discipline e integrazione delle cure. Il libro di Elisa Faretta, “EMDR in psico-oncologia”, è stato l’occasione per un dibattito dalle profondità inaspettate, fra un primario pneumologo, da decenni ricercatore in ambito psico-neuro-immuno-endocrinologico, il dott. Enzo Soresi,  la Presidente dell’EMDR in Italia, dott.ssa Isabel Fernandez, e la dott.ssa Anna Vittoria Macchi, una psicoterapeuta della Gestalt, da anni impegnata nel campo delle cure palliative e dell’approccio interdisciplinare al fine vita.
In oltre trent’anni di attività, in prima linea contro la malattia oncologica polmonare, il dott. Soresi racconta di essersi dedicato alle pubblicazioni scientifiche, per cercare, con le rigorose argomentazioni derivanti dalla straordinaria mole di dati statistico-clinici raccolti, di “fermare i chirurghi”. La chirurgia, negli anni ’70 del secolo scorso, era l’unico baluardo contro il tumore polmonare, ma il binomio asportazione chirurgica e chemioterapia, in realtà, non produceva alcun miglioramento. I malati, morivano anche prima di quanto non avvenisse per i gruppi di controllo, che non ricevevano la chemioterapia.
In assenza di un approccio rigoroso alle cause dei tumori, l’approccio medico era, e tendenzialmente è ancora, un approccio invasivo, pieno di metafore  belliche. Si asportano le parti di organo colpite dal male, e si bombarda poi l’organo bersaglio, per ridurre il rischio di recidive.
Ma con il tempo, il dott. Soresi e la sua équipe andavano accorgendosi che elementi aspecifici (l’avere figli piccoli, l’avere reti familiari particolarmente supportive, o a volte il desiderio di vivere e di lottare per un’anziana madre, o per altri motivi), producevano spesso significative differenze nelle possibilità di recupero o di sopravvivenza dei malati di tumore al polmone.
Gli aspetti “di sistema”, peraltro, non si limitavano ad osservazioni casuali, ma si indirizzavano sempre di più a modelli esplicativi e causali complessi. Oggi sappiamo che la proliferazione del tumore, spiega il dott. Soresi, ha a che vedere anche con il sistema immunitario, che spesso viene stravolto.
Le cellule tumorali “ingannano” il sistema immunitario e si rendono non attaccabili, mentre in condizioni normali, il sistema immunitario è in grado di eliminare le cellule pre-tumorali.
Sistema digestivo, stati infiammatori, sistema vegetativo e sistema immunitario, plasticità cellulare e liquidi biologici di trasmissione, costituiscono un complesso reticolato di connessioni, che aprono al mistero del corpo vivente e al suo annidamento alla psiche e all’anima. Il corpo che guarda, che ascolta, che respira, che spera, che sogna, è il corpo complesso cui la PNEI cerca di accostarsi con gli strumenti della biologia e della chimica, della fisica moderna, anche, mentre la psicologia lo accosta a partire dal linguaggio e dall’intervento sui 5 sensi.
Organismo e corpo si annodano fra loro grazie ai 5 sensi, e al sesto senso soprattutto, che è la percezione di sé come unità corpo-mente, la percezione del proprio spazio interno ed esterno.
L’EMDR e in generale le tecniche di stimolazione bilaterale, si inseriscono in questo contesto, e permettono un profonda sintonizzazione, un dialogo corpo mente, fra terapeuta e paziente.
All’interno di questo dialogo, di questa danza psicosensoriale, il paziente rimette insieme i cocci, le tessere del puzzle che è andato per aria, si è disintegrato, a causa del trauma della diagnosi.
La paura degli interventi chirurgici, la nausea post infusioni, l’angoscia di morte, la preoccupazione per i familiari, impediscono al soggetto di contattare le proprie risorse più profonde e vitali.
Grazie all’EMDR, o ad altre tecniche di stimolazione bilaterale o tecniche immaginative di cui pure si è parlato, il paziente recupera le proprie risorse e non di rado è in grado di ricostruire, riannodare i fili della proprie esistenza, anche dando un senso all’insorgere della malattia.
Un “senso” non è mai, tuttavia, una “causa” in senso lineare.
Ricostruire e riconoscere un momento di difficoltà, uno strappo, un “trigger”, che può aver scatenato la crisi anche nel corpo, non significa avere un approccio “psicosomatico” alla malattia oncologica in senso classico. Significa piuttosto permettere al malato di riappropriarsi del proprio corpo, di utilizzare al meglio le proprie risorse emotive e fisiche, di sentirsi persona fra le persone che si prendono cura di lui, e in ultima analisi, passare da un’idea di guarigione ad un’idea di “cura” e di convivenza con la malattia. Integrare, accettare, gestire in prima persona i profondi cambiamenti e le difficoltà che molto spesso le cure oncologiche, anche quando esitano nel migliore dei modi, comportano, costituisce una conquista molto significativa dell’approccio “globale” in ambito oncologico.
La dott.ssa Macchi ha poi illustrato il lavoro d’équipe che promuove negli hospice, ripercorrendo rapidamente la storia del movimento, e il senso di un luogo, di una casa, che permette di riappropriarsi della propria fine. “Tutti sappiamo morire, perché tutti abbiamo saputo nascere. Accostarci al nostro andar via, integrare il nostro modo di accostarci alla morte in modo pacificato, farne un momento della nostra esistenza, è importante perché la nostra esistenza, l’esistenza dell’umanità, è possibile anche nella misura in cui noi tutti riusciamo a simbolizzare la separazione, e dunque a sopravvivere al lutto”.
E’ stata quindi una serata in cui sono stati affrontati temi difficili e dolorosi, dove tuttavia i partecipanti hanno potuto ascoltare storie di professionisti della salute che riflettono sul loro lavoro, che raccontano storie di cura, di umanità, di profonda e gioiosa partecipazione e di grande rispetto.
Professionisti diversi in dialogo costruttivo, intenti a costruire luoghi di accoglienza e di ascolto, ma anche di ricerca rigorosa e innovativa.
Questo è il mondo della “cura”, nei suoi vari ambiti e declinazioni, che la Casa della Psicologia cerca di promuovere e di presentare alla città.
 
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