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20/11/2015
Psicologia e “counseling”, mai più come prima…
immagine articolo Psicologia e “counseling”, mai più come prima… In questi giorni la comunità professionale degli psicologi ha assistito a un “tam tam” mediatico potente e rumoroso: è stata pubblicata in data 17 novembre 2015 dal T.A.R. una decisiva sentenza sul counseling, a seguito di un ricorso promosso dal Consiglio Nazionale dell’Ordine.

In questa decisione viene riaffermato un principio fondamentale dello Stato che è bene ricordare:
  • lo Stato presidia attraverso gli Ordini alcune aree particolarmente rilevanti tra cui l’area della Salute, ovvero in Italia per lavorare con la Salute delle persone è necessario avere una serie di competenze garantite da un apposito percorso di studi (nel nostro caso la Laurea in Psicologia), aver fatto un Esame di Stato (ed essere iscritti al relativo Albo A o B) e essere soggetti al governo di un apposito Ente pubblico (l’Ordine) che vigila e governa tale comunità alla luce delle norme dello Stato e attraverso uno specifico Codice Deontologico; le attività professionali che si declinano all’interno delle aree presidiate dagli Ordini sono da ritenersi attività riservate ai professionisti iscritti all’Albo;
 
Ecco alcuni dei passaggi salienti tratti direttamente dal testo della sentenza:

  1. Il titolo di counselor […a parere dell’associazione “Assocounseling”…] non richiederebbe alcuna formazione accademica, né un'abilitazione professionale, ma la mera iscrizione all'associazione stessa dopo la frequenza di un corso triennale di formazione di natura privata che abiliterebbe a svolgere i seguenti interventi:

    1) utilizzare strumenti conoscitivi (al pari degli psicologi) derivanti da diversi orientamenti teorici;
    2) ascoltare e riflettere con il cliente in merito alle sue difficoltà (in pratica quello che la letteratura scientifica definisce come intervento per la prevenzione in ambito psicologico);
    3) sostenere famiglie, gruppi e istituzioni (ossia offrire sostegno in ambito psicologico rivolte alla persona, al gruppo, agli organismi sociali e alle comunità)

    [MA, quindi] Si tratterebbe [] di attività coincidenti con quelle che la legge 56/89 riserva agli psicologi […]


  2. […] tale descrizione dell’attività dell’AssoCounseling […] è anche talmente generica da potere comprendere una vasta gamma di interventi sulla persona, sfuggendo ad una precisa identificazione dell’ambito in cui la stessa viene a sovrapporsi all’attività dello psicologo.

  3. […]La promozione dello sviluppo delle potenzialità di crescita individuale, di integrazione sociale, la facilitazione dei processi di comunicazione, il miglioramento della gestione dello stress e della qualità di vita, tanto per limitarci ad uno dei sottosettori di intervento dello psicologo junior, appaiono perfette duplicazioni dell’attività del counselor

  4. il disagio psichico, anche fuori da contesti clinici, rientra nelle competenze della professione sanitaria dello psicologo.

  5. […] La definizione dell’attività non regolamentata del counselor […] non consente a questi operatori di non sconfinare nel campo proprio degli psicologi […]

  6. Si direbbe che l’intervento del counselor sia quello di fornire delle tecniche di comunicazione che rendano più efficace e più soddisfacente l’interazione in determinati contesti.

  7. […] appartenenza di questa tipologia di interventi all’area sanitaria e all’ambito di competenza degli psicologi ed un indizio della necessità di verifiche più approfondite in ordine alla formazione dei counselors. […]

  8. Il disagio psichico è una condizione che attiene senz’altro alla sfera della salute ed è tale attinenza a giustificare i limiti ed i controlli che vengono garantiti anche attraverso l’attività degli ordini professionali.

Come si può vedere, si tratta, in termini di contenuto, di una sentenza storica che getta luce su molti temi che risultavano confusi e critici da tempo e che conferma l’attualità e l’importanza del presidio ordinistico in una delle aree più importanti della società quale è quella sanitaria.

Un altro messaggio di grande rilevanza che vi viene affermato è che il disagio psichico, anche fuori da contesti clinici”, rientra pienamente “nelle competenze della professione sanitaria dello psicologo”. Si tratta di una esplicitazione chiara del significato ampio da attribuirsi al concetto di Salute e del senso legato all’essere professione sanitaria: lo psicologo non opera soltanto sulla psicopatologia ma si occupa in primis del benessere psicologico di individui, gruppi e comunità e lo fa in tutti i contesti ove interviene.

Ma da dove arriva e che significato ha questa sentenza?

Per comprenderlo dobbiamo chiarire un apparente paradosso: questa sentenza non è affatto l’esito di una battaglia o peggio di una guerra contro il counseling, ma essa deriva proprio da un processo opposto di abbassamento del conflitto, da un processo di confronto in cui, lavorando sui contenuti più che sui contenitori, si è agito per rinforzare l’identità professionale e si sono gettati ponti invece di costruire barricate.

Il rapporto fra counseling e psicologia in Italia era diventato critico e da diversi anni si era inasprito un conflitto interno ed esterno che sembrava non avere soluzione. Qualcuno invocava la deregulation totale e l’abbandono della “nave” ordinistica, vista come “protettore” inefficace e antiquato; altri paventavano una guerra corporativa tutti “contro” tutti da portare avanti ad oltranza e per anni la maggior parte degli attori politici coinvolti in questa querelle sono rimasti semplicemente “alla finestra” a guardare, urlandosi addosso. Altre idee, altri tempi… che hanno portato all’approvazione della Legge 4/2013 con le relative criticità, alle insanabili fratture interne, alle frustrazioni, all’abbandono di un sentimento di comunità professionale...

Ebbene, si poteva fare diversamente e lo stiamo dimostrando.

La nostra sentenza, dunque, origina direttamente dal cambiamento politico-professionale avvenuto in molti ordini (in primis il nostro Ordine lombardo) e di conseguenza nel Consiglio Nazionale (CNOP): da un anno si è scelto di abbandonare le strategie corporative e paranoiche del “nemico”, dei conflitti e della “guerra” dichiarata, per lavorare invece con serietà e forza sui contenuti, sulla credibilità istituzionale, sul dialogo, sulla valorizzazione delle competenze, ecc. È stata una svolta radicale che dovremmo tutti riconoscere e valorizzare ogni giorno: se non ci fosse stata questa politica coraggiosa, questa contro-tendenza, non ci saremmo rinsaldati a livello regionale e nazionale, non avremmo ritrovato forza e credibilità e difficilmente avremmo avuto i riconoscimenti odierni.

La sentenza non va quindi letta come qualcosa “contro” o come un quid “contro” qualcuno, bensì come risultato tutto interno alla categoria: un’affermazione pubblica delle nostre competenze, delle nostre specificità e dei nostri diritti.

Allo stesso modo, continuare a leggere il rapporto con il counseling come uno stato di “guerra” fra fazioni opposte, se è certamente comprensibile e appare quasi “naturale” per quanto ci siamo abituati negli anni a questa prospettiva, politicamente e strategicamente è, e si è dimostrato, un grosso errore. L’innalzamento costante del conflitto, la persecuzione degli abusivismi, le “vittorie” a colpi di sentenze o di Codice Deontologico, per quanto spesso giuste e legittime, non hanno permesso e non permettono di cogliere le vere opportunità di sviluppo della nostra professione e le politiche più utili per tutti i colleghi, distratti dagli obiettivi veramente importanti avremmo rischiato di continuare a concentrarci soltanto su un capro espiatorio momentaneo e su una non-soluzione, con il proseguo dei non-risultati del passato. Una sentenza è solo il sintomo di qualcosa d’altro, essa non crea opportunità, non crea lavoro e non aumenta i nostri spazi di mercato poiché nessuna sentenza porta a questo; a farlo sono e possono soltanto il cambiamento culturale attuale e questo nuovo modo di governare l’Ordine che stiamo tutti vivendo. Questa è la conquista più importante di oggi e grazie a tutto ciò “non sarà mai più come prima”…

E doveroso anche pregare tutti coloro che fanno politica professionale e che continuano a portare avanti politiche distruttive per la categoria, tutti coloro che oggi non sostengono e non apprezzano l’azione forte ed efficace del nostro Consiglio regionale lombardo, del CNOP e del Presidente Giardina, di non ribaltare la realtà dei fatti e scrivere ai quattro venti che questi risultati sono merito di uno dell’altro o dell’altro, confondendo e indebolendo tutta l’iniziativa; il merito è del CNOP, quindi di tutti gli psicologi.

Tornando al focus di questo articolo è necessario aggiungere che lo stesso CNOP si è dimostrato lungimirante anche con altre importanti azioni su questo tema e da tempo ha organizzato un workshop (ROMA- 18 dicembre) preparatorio ad una Consensus Conference nazionale proprio sul counseling. È soprattutto con questo passo finale, più che nelle aule dei tribunali, che finalmente gli spazi reciproci fra operatori di diversi settori saranno chiari, le azioni di tutela ovvie ed efficaci e tutti lavoreranno più serenamente nelle rispettive prerogative e possibilità.

Professione “avanti tutta”!
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