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Torna all'elenco27/05/2016
Dolore e fine vita: un'esperienza di integrazione tra approccio medico e psicologico secondo la psicoterapia ericksoniana"
Il 24 Maggio, alla casa della Psicologia, in occasione della presentazione del libro “L’Essenza dell’Essere. La psicoterapia ipnotica nella malattia in fase avanzata”, di Monia Belletti, Jean Luc Giorda e Rosa Bruni, un’équipe multidisciplinare, formata dagli autori e dal dott. Paolo Notaro, direttore del reparto di terapia del dolore del Niguarda, ha affrontato senza giri di parole il difficile argomento del dolore e della morte.
Il libro, un vero e proprio manuale che illustra ed esplora le straordinarie potenzialità della psicoterapia ipnotica ericksoniana in ambito multidisciplinare, è anche un viaggio nella storia di questa tecnica.
Bistrattata fino alla metà del ventesimo secolo, grazie a Milton Erickson l’ipnosi è tornata nell’alveo della scienza, e ha ritrovato una sua ampia applicazione.
Al di là della pur interessante e precisa ricostruzione storica, il libro ha anche il pregio di sfatare tutta una serie di falsi miti, accompagnando il lettore in un viaggio che lo porta a demolire luoghi comuni e false certezze. Così, gli stati di coscienza, la trance, e in generale la convivenza di pensiero diurno e pensiero notturno, di razionalità e réverie, si rivelano per quello che sono: attitudini naturali, modalità di funzionamento fisiologico della mente, stati di coscienza intrecciati e inestricabili.
Allo stesso modo, il concetto di “dolore” si dilata e si umanizza. Dolore è uno stato che può essere soggettivato, attraversato, compreso. Dolore è dolore burocratico, dolore sociale, dolore fisico, dolore psicologico, dolore spirituale, ma anche dolore totale.
Dalla lettura di questo libro straordinario, che non lesina esperienze, casi clinici e racconti di vita, abbiamo imparato che accogliere uno psicoterapeuta in casa, o in Hospice, al termine della propria vita, può trasformarsi in un viaggio verso il ritrovamento di se stessi, dei propri affetti più cari, e spesso si rivela incredibilmente anche un modo per recuperare energia e vita. La morte, come ogni scansione, ogni passaggio importante della vita, la morte annunciata, la morte vicina, può diventare morte amica, anche laddove non cessa il dolore e persino la rabbia di un destino che non può che lacerare.
Un libro sulla morte, dunque, sul dolore, e su come la mente e il corpo con tutto questo si confrontano.
Il corpo con la malattia esce dal suo cono d’ombra, gli organi malati escono dal silenzio in cui la vita quotidiana li tiene confinati, e prende il sopravvento, gettandoci in un mondo completamente diverso. Un mondo di dolore e di ricerca di sollievo, ma anche un mondo di solitudine, di ritiro, di ascolto di sé, di recupero di ritmi, gesti, ritualità essenziali. La poltrona, il letto, il bagno, le manovre mediche e infermieristiche, le cure, gli effetti collaterali, i recuperi, le conquiste e le ricadute, le speranze e le paure, gli sguardi, i non detti.
Questi i temi affrontati dagli autori, che con semplicità ed estrema franchezza hanno raccontato dei loro incontri, dei primi studi pionieristici, nati dal fortunato incontro fra la curiosità della giovane psicoterapeuta e il coraggio del medico palliativista, (algologo), consapevole della sua impotenza, consapevole del fatto che il farmaco, la chimica, è ben lungi dal risolvere tutto. Paolo Notaro e Monia Belletti hanno raccontato anche le loro fatiche, le angosce, il carico inimmaginabile e quotidiano, che pure essi hanno imparato a portare e a condividere.
Ci hanno raccontato quanto essi stessi, con stupore, avessero constatato in modo paradossale e in una situazione limite che persino risolvere un dolore complesso dopo anni di sofferenza - ma troppo presto forse dalla presa in carico- può voler dire gettare una persona troppo fragile nella disperazione, invece che aiutarla. Il dott. Notaro ha infatti raccontato come una paziente, affetta da dolore cronico, fosse guarita, curata con un nuovo farmaco e tecnologia e avesse persino potuto rialzarsi dalla carrozzina, che da molti mesi la teneva prigioniera; ma a questo “miracolo”, aveva fatto seguito un repentino quanto inaspettato gesto inconsulto. La donna infatti, che da circa dieci anni viveva “ubriaca” del suo dolore, ha aperto gli occhi, e ha visto un'altra realtà e contesto famigliare: il marito ormai emotivamente lontano, e il figlio in riabilitazione da tossicodipendenza. Anche dal pubblico, il dott. Gianpaolo Ragusa, dell’Istituto di Psicosomatica Integrata, ha sottolineato quanto anche la sua propria esperienza clinica gli abbia rivelato il pericolo di estirpare un sintomo senza prima inserirlo nella complessa rete di significato, nel reticolato mente-corpo che quel sintomo ha prodotto.
L’interazione con il pubblico presente ha sottolineato con vivacità la necessità di un intervento interdisciplinare che non consista solo nel mettere insieme pezzi, ma che si trasformi in un lavoro di squadra, squadra che sostiene, che incrocia gli sguardi, che costruisce un posto per la persona, rispettandone la dignità.
Dunque “il tocco, il rimedio, la parola”, come ricordava Ippocrate, sono gli strumenti del medico. Questo reticolato di chimica, di comunicazione e di gesti, è già di per sé ipnosi, intesa come spazio, luogo in cui la mente immaginativa e quella razionale possono dialogare. Allo stesso modo, il dolore va sottratto alla pura definizione medica di reazione ad un danno o ad una lesione, e diviene percezione soggettiva e dunque essenza stessa dell’essere: dolore come cognizione dell’esistenza, che tuttavia può essere accolta, curata, sostenuta, accompagnata, dai primi vagiti fino alla soglia estrema. “Si nasce e si muore, il resto sono chiacchiere” recita, nella sua lapidaria ma irresistibile comicità, la vignetta di Altan con cui i Colleghi ci hanno salutato, dopo una serata densa, che certo non ci ha lasciati indifferenti come persone, oltre che come professionisti, e che ha ancora una volta dimostrato la ricchezza della psicologia, la sua duttilità, il suo indispensabile apporto di umanizzazione e cultura della soggettività, in ambito medico e assistenziale.
Il libro, un vero e proprio manuale che illustra ed esplora le straordinarie potenzialità della psicoterapia ipnotica ericksoniana in ambito multidisciplinare, è anche un viaggio nella storia di questa tecnica.
Bistrattata fino alla metà del ventesimo secolo, grazie a Milton Erickson l’ipnosi è tornata nell’alveo della scienza, e ha ritrovato una sua ampia applicazione.
Al di là della pur interessante e precisa ricostruzione storica, il libro ha anche il pregio di sfatare tutta una serie di falsi miti, accompagnando il lettore in un viaggio che lo porta a demolire luoghi comuni e false certezze. Così, gli stati di coscienza, la trance, e in generale la convivenza di pensiero diurno e pensiero notturno, di razionalità e réverie, si rivelano per quello che sono: attitudini naturali, modalità di funzionamento fisiologico della mente, stati di coscienza intrecciati e inestricabili.
Allo stesso modo, il concetto di “dolore” si dilata e si umanizza. Dolore è uno stato che può essere soggettivato, attraversato, compreso. Dolore è dolore burocratico, dolore sociale, dolore fisico, dolore psicologico, dolore spirituale, ma anche dolore totale.
Dalla lettura di questo libro straordinario, che non lesina esperienze, casi clinici e racconti di vita, abbiamo imparato che accogliere uno psicoterapeuta in casa, o in Hospice, al termine della propria vita, può trasformarsi in un viaggio verso il ritrovamento di se stessi, dei propri affetti più cari, e spesso si rivela incredibilmente anche un modo per recuperare energia e vita. La morte, come ogni scansione, ogni passaggio importante della vita, la morte annunciata, la morte vicina, può diventare morte amica, anche laddove non cessa il dolore e persino la rabbia di un destino che non può che lacerare.
Un libro sulla morte, dunque, sul dolore, e su come la mente e il corpo con tutto questo si confrontano.
Il corpo con la malattia esce dal suo cono d’ombra, gli organi malati escono dal silenzio in cui la vita quotidiana li tiene confinati, e prende il sopravvento, gettandoci in un mondo completamente diverso. Un mondo di dolore e di ricerca di sollievo, ma anche un mondo di solitudine, di ritiro, di ascolto di sé, di recupero di ritmi, gesti, ritualità essenziali. La poltrona, il letto, il bagno, le manovre mediche e infermieristiche, le cure, gli effetti collaterali, i recuperi, le conquiste e le ricadute, le speranze e le paure, gli sguardi, i non detti.
Questi i temi affrontati dagli autori, che con semplicità ed estrema franchezza hanno raccontato dei loro incontri, dei primi studi pionieristici, nati dal fortunato incontro fra la curiosità della giovane psicoterapeuta e il coraggio del medico palliativista, (algologo), consapevole della sua impotenza, consapevole del fatto che il farmaco, la chimica, è ben lungi dal risolvere tutto. Paolo Notaro e Monia Belletti hanno raccontato anche le loro fatiche, le angosce, il carico inimmaginabile e quotidiano, che pure essi hanno imparato a portare e a condividere.
Ci hanno raccontato quanto essi stessi, con stupore, avessero constatato in modo paradossale e in una situazione limite che persino risolvere un dolore complesso dopo anni di sofferenza - ma troppo presto forse dalla presa in carico- può voler dire gettare una persona troppo fragile nella disperazione, invece che aiutarla. Il dott. Notaro ha infatti raccontato come una paziente, affetta da dolore cronico, fosse guarita, curata con un nuovo farmaco e tecnologia e avesse persino potuto rialzarsi dalla carrozzina, che da molti mesi la teneva prigioniera; ma a questo “miracolo”, aveva fatto seguito un repentino quanto inaspettato gesto inconsulto. La donna infatti, che da circa dieci anni viveva “ubriaca” del suo dolore, ha aperto gli occhi, e ha visto un'altra realtà e contesto famigliare: il marito ormai emotivamente lontano, e il figlio in riabilitazione da tossicodipendenza. Anche dal pubblico, il dott. Gianpaolo Ragusa, dell’Istituto di Psicosomatica Integrata, ha sottolineato quanto anche la sua propria esperienza clinica gli abbia rivelato il pericolo di estirpare un sintomo senza prima inserirlo nella complessa rete di significato, nel reticolato mente-corpo che quel sintomo ha prodotto.
L’interazione con il pubblico presente ha sottolineato con vivacità la necessità di un intervento interdisciplinare che non consista solo nel mettere insieme pezzi, ma che si trasformi in un lavoro di squadra, squadra che sostiene, che incrocia gli sguardi, che costruisce un posto per la persona, rispettandone la dignità.
Dunque “il tocco, il rimedio, la parola”, come ricordava Ippocrate, sono gli strumenti del medico. Questo reticolato di chimica, di comunicazione e di gesti, è già di per sé ipnosi, intesa come spazio, luogo in cui la mente immaginativa e quella razionale possono dialogare. Allo stesso modo, il dolore va sottratto alla pura definizione medica di reazione ad un danno o ad una lesione, e diviene percezione soggettiva e dunque essenza stessa dell’essere: dolore come cognizione dell’esistenza, che tuttavia può essere accolta, curata, sostenuta, accompagnata, dai primi vagiti fino alla soglia estrema. “Si nasce e si muore, il resto sono chiacchiere” recita, nella sua lapidaria ma irresistibile comicità, la vignetta di Altan con cui i Colleghi ci hanno salutato, dopo una serata densa, che certo non ci ha lasciati indifferenti come persone, oltre che come professionisti, e che ha ancora una volta dimostrato la ricchezza della psicologia, la sua duttilità, il suo indispensabile apporto di umanizzazione e cultura della soggettività, in ambito medico e assistenziale.
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