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27/07/2016
Scandalo Bellodi, una triste vicenda che non si chiude
Aperta nel 2010, la vicenda ormai nota come “scandalo Bellodi” continua a suscitare riprovazione presso la comunità degli psicologi lombardi e italiani. Malgrado i ripetuti interventi dell’Ordine e le prese di posizione delle più alte istituzioni del mondo psicologico, qui riassunte, il caso sembra destinato ad una conclusione lontana da quanto unanimemente auspicato.
In sintesi, la vicenda nasce da una escalation di sorprendenti dichiarazioni – nel quadro di un articolo sugli attacchi di panico – in cui la prof.ssa Bellodi risultava aver associato la professione psicologica ad un rimedio ‘fai da te’, sostenendo che la scelta di affidarsi allo psicologo sarebbe assimilabile a ‘rivolgersi a un prete o alla propria shampista’, ‘lo psicologo disorienta’, ‘non fa diagnosi’.
Non crediamo sia necessario, in questa sede, tornare a sottolineare l’inconsistenza scientifica, professionale e deontologica di queste affermazioni, a cui hanno ovviamente fatto seguito reazioni di incredulità, biasimo, irritazione e dispiacere da parte degli oltre 16.000 psicologi lombardi e della intera comunità di 90.000 professionisti attivi sul territorio nazionale.
Come Ordine degli Psicologi della Lombardia, ci siamo fatti portatori del disappunto legato ai contenuti ivi espressi. A più riprese, abbiamo richiesto una presa di distanza inequivocabile rispetto ai contenuti dell’articolo, attraverso una rettifica pubblica. Non solo, abbiamo messo a disposizione uno spazio sul sito web di OPL, in cui puntualizzare come le dichiarazioni riprese fossero errate e inammissibili. Queste legittime richieste sono, tuttavia, sfociate in un curioso slittamento della querelle dal merito delle affermazioni al piano delle competenze e del ruolo professionale della professoressa presso l’Università Vita Salute del San Raffaele e alla supposta buona fede del giornalista firmatario dell’intervista.
Su questo fronte, tengo a precisare che l’istituzione ordinistica che rappresento ha sempre attribuito l’articolo a incomprensioni e fraintendimenti, legati a dinamiche estranee alla comprovata competenza della professoressa. Che mai abbiamo inteso accusare a livello professionale o personale e che sempre ci siamo attenuti a contestare le argomentazioni su un piano di merito. Le eventuali contestazioni di metodo restano estranee all’interesse dell’Ordine e si rimandano al rapporto privato fra i gestori della testate, il giornalista coinvolto e la professoressa Bellodi.
Purtroppo, anche a valle di un incontro con i vertici dell’Università e di reiterate richieste, dobbiamo constatare che, ad oggi, la nostra serena e dovuta posizione istituzionale è rimasta incompresa.
I contenuti non sono stati mai realmente negati nel merito e la vicenda rimane e rimarrà, a nostro parere, aperta e irrisolta per il futuro.
Un epilogo “amaro” che si configura come uno smacco alla professione psicologica e una ferita all’immagine della nostra professione e di chi, per professione, ha la responsabilità di formare i futuri colleghi.
In sintesi, la vicenda nasce da una escalation di sorprendenti dichiarazioni – nel quadro di un articolo sugli attacchi di panico – in cui la prof.ssa Bellodi risultava aver associato la professione psicologica ad un rimedio ‘fai da te’, sostenendo che la scelta di affidarsi allo psicologo sarebbe assimilabile a ‘rivolgersi a un prete o alla propria shampista’, ‘lo psicologo disorienta’, ‘non fa diagnosi’.
Non crediamo sia necessario, in questa sede, tornare a sottolineare l’inconsistenza scientifica, professionale e deontologica di queste affermazioni, a cui hanno ovviamente fatto seguito reazioni di incredulità, biasimo, irritazione e dispiacere da parte degli oltre 16.000 psicologi lombardi e della intera comunità di 90.000 professionisti attivi sul territorio nazionale.
Come Ordine degli Psicologi della Lombardia, ci siamo fatti portatori del disappunto legato ai contenuti ivi espressi. A più riprese, abbiamo richiesto una presa di distanza inequivocabile rispetto ai contenuti dell’articolo, attraverso una rettifica pubblica. Non solo, abbiamo messo a disposizione uno spazio sul sito web di OPL, in cui puntualizzare come le dichiarazioni riprese fossero errate e inammissibili. Queste legittime richieste sono, tuttavia, sfociate in un curioso slittamento della querelle dal merito delle affermazioni al piano delle competenze e del ruolo professionale della professoressa presso l’Università Vita Salute del San Raffaele e alla supposta buona fede del giornalista firmatario dell’intervista.
Su questo fronte, tengo a precisare che l’istituzione ordinistica che rappresento ha sempre attribuito l’articolo a incomprensioni e fraintendimenti, legati a dinamiche estranee alla comprovata competenza della professoressa. Che mai abbiamo inteso accusare a livello professionale o personale e che sempre ci siamo attenuti a contestare le argomentazioni su un piano di merito. Le eventuali contestazioni di metodo restano estranee all’interesse dell’Ordine e si rimandano al rapporto privato fra i gestori della testate, il giornalista coinvolto e la professoressa Bellodi.
Purtroppo, anche a valle di un incontro con i vertici dell’Università e di reiterate richieste, dobbiamo constatare che, ad oggi, la nostra serena e dovuta posizione istituzionale è rimasta incompresa.
I contenuti non sono stati mai realmente negati nel merito e la vicenda rimane e rimarrà, a nostro parere, aperta e irrisolta per il futuro.
Un epilogo “amaro” che si configura come uno smacco alla professione psicologica e una ferita all’immagine della nostra professione e di chi, per professione, ha la responsabilità di formare i futuri colleghi.
File e link correlati
Leggi tutto il riepilogo del caso Bellodi
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