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Torna all'elencoNegli ultimi giorni della pausa legata alle festività natalizie è tornato alla ribalta della cronaca il tema delle cosiddette “terapie riparative dell’omosessualità”, scatenato dal dibattito attorno all’imminente convegno del 17 gennaio organizzato presso Palazzo Lombardia dal titolo “Difendere la famiglia per difendere la comunità”.
Le posizioni dell’Ordine degli Psicologi della Lombardia sono note da tempo e non sono mai state messe in dubbio da alcuna altra dichiarazione. Si basano sulla piena applicazione della norma deontologica, sono in linea con il pensiero scientifico attuale e restano tali senza la necessità di riaffermare qualcosa di diverso dal passato.
Voglio comunque utilizzare l’occasione per chiarire nuovamente, da un lato, la sentita e naturale condanna rispetto alle suddette “terapie riparative” e, dall’altro, il ruolo istituzionale proprio dell’Ordine nei rapporti con altri enti, istituzioni e verso la società.
Ripercorrendo brevemente alcuni passaggi salienti che hanno determinato il clima scientifico e culturale attuale in merito alle “terapie riparative” e all’omosessualità, ricordo che in primo luogo il processo di depatologizzazione vede nel 1973 la prima presa di posizione dell’APA nel derubricare l’omosessualità “egosintonica” dal proprio sistema di classificazione (DSM) e nel 1987 l’eliminazione anche della variante “egodistonica”. Anche l’Organizzazione Mondiale della sanità (OMS) ha sottolineato nel 1992 come l’orientamento sessuale non sia un indicatore psicopatologico di per sé, togliendo dal suo Manuale (ICD-10) la diagnosi di Omosessualità. Queste scelte hanno avuto ricadute anche sulle posizioni di altre istituzioni scientifiche favorendo nel tempo la presa di distanza comune da eventuali atteggiamenti e posizioni discriminatorie.
Oltre alla cornice scientifico-culturale internazionale, è fondamentale ricordare che quanto sopra affermato è saldamente radicato nella nostra norma deontologica e, come tale, è di doverosa applicazione a prescindere dalle posizioni etiche, morali o religiose di qualunque collega:
Nell'esercizio della professione, lo psicologo rispetta la dignità, il diritto alla riservatezza, all'autodeterminazione ed all'autonomia di coloro che si avvalgono delle sue prestazioni; ne rispetta opinioni e credenze, astenendosi dall'imporre il suo sistema di valori; non opera discriminazioni in base a religione, etnia, nazionalità, estrazione sociale, stato socio-economico, sesso di appartenenza, orientamento sessuale, disabilità. Lo psicologo utilizza metodi e tecniche salvaguardando tali principi, e rifiuta la sua collaborazione ad iniziative lesive degli stessi. Quando sorgono conflitti di interesse tra l'utente e l'istituzione presso cui lo psicologo opera, quest'ultimo deve esplicitare alle parti, con chiarezza, i termini delle proprie responsabilità ed i vincoli cui è professionalmente tenuto. In tutti i casi in cui il destinatario ed il committente dell'intervento di sostegno o di psicoterapia non coincidano, lo psicologo tutela prioritariamente il destinatario dell'intervento stesso.
Articolo 4, del Codice Deontologico degli psicologi
In generale quindi, rispetto all’attività terapeutica con LGBT, confermo che: “L'Ordine degli Psicologi della Lombardia difende la libertà dei terapeuti di esplorare senza posizioni pregiudiziali l'orientamento sessuale dei propri clienti, segnalando che qualunque corrente psicoterapeutica mirata a condizionare i propri clienti verso l'eterosessualità o verso l'omosessualità è contraria alla deontologia professionale ed al rispetto dei diritti dei propri pazienti.” (del.123/10 del 12 maggio 2010).
Ribaditi i presupposti e le affermazioni di cui sopra, considero fugati tutti i dubbi di quanti desideravano ancora conoscere la posizione ufficiale in merito alle cosiddette “terapie riparative” e di quanti ne volessero una ri-affermazione pubblica.
Detto questo, le modalità e la confusione mediatica che negli ultimi giorni hanno attraversato la comunità professionale (e non solo) meritano un’ulteriore riflessione in merito al ruolo e alla funzione dell’Istituzione che rappresento e in merito alla politica professionale.
L’Ordine esercita i propri compiti di legge avviando azioni disciplinari nei confronti di presunte violazioni deontologiche e informando i colleghi e la società circa i valori fondanti dell’attività professionale. In altre parole come Istituzione applichiamo, e lo facciamo con forza, i principi legati all’esercizio della professione, divulghiamo e prendiamo posizione ove si parli di psicologia e psicoterapia, ma non possiamo e non dobbiamo entrare in nessun dibattito sul piano politico, ideologico o religioso. Fare ciò significherebbe violare i medesimi confini deontologici citati in precedenza e significherebbe venir meno al ruolo rappresentativo di tutta la categoria professionale cui siamo chiamati.
La psicologia e i colleghi tutti hanno certamente molto da dire e da fare verso la società, verso la scienza e anche verso la politica, si tratta di comprendere però con estrema chiarezza quali siano i confini e le differenze fra i ruoli professionali, quelli istituzionali dell’Ordine e le legittime opinioni personali espresse dai colleghi o da terzi.
La coscienza di tale differenza e il senso di responsabilità che ne deriva sono quindi la base del presente comunicato: chiaro e fermo su un tema importante e pertinente la professione come le terapie riparative, con una doverosa astensione da giudizi e opinioni in merito a persone, fatti e Istituzioni esterne alla nostra comunità e alla nostra disciplina.
Una breve parentesi sui tempi. L’Ordine è rimasto chiuso dal 31 dicembre al 7 gennaio, la newsletter che tutti hanno ricevuto era ovviamente programmata in automatico da diverso tempo, ieri sono rientrato e con me tutti i dipendenti: oggi vi scrivo queste parole. Un giorno può essere un’eternità, ma può essere anche un giusto tempo per riflettere da un lato e riavviare i lavori con serenità.
In conclusione un’amara constatazione: i dubbi, i commenti sgradevoli sui social network e le petizioni che hanno ingiustamente screditato oltre alla mia persona, anche i recenti incontri istituzionali coi vertici di Regione Lombardia, dimostrano un atteggiamento pregiudiziale e una scarsa consapevolezza del confine tra ruolo istituzionale ordinistico e opinioni politiche, filosofiche o religiose personali.
Come troppo spesso accade, lanciare ai colleghi allarmismi infondati invece di rafforzare l’unità della categoria crea soltanto confusione e sfiducia nella rappresentanza politico-professionale e indebolisce l’Ordine tutto.
Ciò che più mi dispiace è proprio il fatto che chi ha manifestato con più forza un disappunto pubblico “a priori” conosce bene le mie e le nostre posizioni e poteva semplicemente citare e ribadire una delibera ufficiale ben nota e nei fatti mai negata da alcuno. Anzi, proprio molti di questi stessi colleghi erano perfettamente a conoscenza delle iniziative che l’Ordine della Lombardia sta mettendo in campo all’interno di EXPO in merito all’omofobia. Per inciso e per completezza, a questo proposito, stiamo lavorando da tempo all’organizzazione di un incontro dal titolo “L’omofobia e le sue molte facce: istituzionale, sociale, interiorizzata” con la presenza del Prof. Ian Rivers, della Brunel University di Londra (autore di “Homophobic Bullying: Research and Theoretical Prespectives”) e del Prof. Vittorio Lingiardi, della Sapienza Università di Roma, responsabile scientifico del progetto “lecosecambiano@roma”.
In questa direzione chiudo lasciando uno spazio di riflessione per tutti e qualche domanda: ma è davvero possibile pensare di usare temi e questioni così delicate per dividere e costruire opposizioni inesistenti tra diverse anime della professione?
È sensato danneggiare la nostra immagine pubblica e indebolirci come Istituzione senza che vi siano evidenti vantaggi per nessuno?
Che valore diamo al rispetto dei colleghi entro la nostra categoria?
Continuiamo a lavorare serenamente impegnandoci tutti, insieme, per il bene della categoria e la crescita della professione.