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Torna all'elenco04/12/2017
Traiettorie di sviluppo della psicoanalisi: la conquista - impossibile - dell’autonomia da Freud.
Il 28 Novembre si è tenuta, alla Casa della Psicologia, la presentazione di un testo a lungo inedito in Italia; la traduzione e la cura, ampiamente annotata da Michele Lualdi, del testo di Sàndor Ferenczi e Otto Rank “Traiettorie di sviluppo della psicoanalisi, sull’ interazione fra teoria e pratica”.
Inizialmente il testo era stato preparato per un concorso, indetto da Freud fra i suoi allievi e collaboratori, per incentivare la ricerca sui temi della teoria della tecnica.
Freud scrive poco di tecnica e ancor meno di pratica. Il comportamento di Freud con i suoi pazienti, così come vengono riportati nei racconti dei collaboratori che hanno avuto diretto contatto con i suoi resoconti di sedute, appare estremamente mobile, libero dai precetti che egli sembra invece impartire, quando parla di teoria.
D’altra parte, egli ha sempre sottolineato che, scrivendo di tecnica, ha voluto porre l’accento su ciò che non andrebbe fatto, volendo lasciare libero l’analista di giocarsi, all’interno della relazione, tutte le proprie carte, senza rinnegare il proprio stile personale, dal momento che il dialogo analitico va padroneggiato un po’ come una partitura musicale.
Con questi concorsi andati deserti, tuttavia, egli costruisce una sorta di “doppio legame” con i suoi collaboratori, per lo più suoi analizzanti, e dunque immersi in complesse relazioni transferali, di dipendenza, di identificazione, di aspettative e fantasie.
Rank e Ferenczi scrivono questo testo insieme, ma sarà la loro unica collaborazione. Il breve ma intenso sodalizio, nato proprio a partire da un desiderio e da un invito esplicito di Freud, terminerà di lì a poco, quando Ferenczi, per non rinunciare all’amore e alla stima di Freud, rinnegherà la teoria del trauma della nascita, mentre Rank si rifugerà in America, per cercare di ritagliarsi uno spazio e sopravvivere alla durissima “scomunica” del maestro.
Michele Lualdi, con estrema precisione ma anche con leggerezza, ci ha permesso di seguire gli itinerari, e veramente le traiettorie, di questi due autori e degli altri del Comitato, immersi nella comunicazione ambigua e sofferta che si respirava nel “campo” dell’Associazione. Freud incentivava e promuoveva, a parole, le “escursioni in autonomia” dei due autori, mandava rassicurazioni e promuoveva concorsi, correggeva bozze, impartiva consigli, salvo poi scomunicare con durezza ogni teoria e ogni proposta che uscisse dal seminato.
Ancora dopo oltre 10 anni, nel testo “Analisi finita e infinita” (e non “terminabile e interminabile”, come è stato tradotto a suo tempo da Renata Colorni), Davide Radice ci fa notare come Freud si scagliasse con inaudita violenza e sarcasmo contro Rank, mentre “dedicava” a Ferenczi diversi passi del testo, in un dialogo sofferto e amaro, che sembra non potersi interrompere neanche davanti alla morte dell’amico e allievo di un tempo.
La domanda che possiamo porci - al di là dello sgomento che certamente ci assale, davanti a questi squarci di storia e di relazioni “transferal- istituzionali”, di cui ognuno di noi, avvezzo alle realtà delle “chiese” psicoanalitiche, può trovare traccia nella propria attualissima esperienza – è se il “catechismo” di Ferenczi e Rank, il manualetto di tecnica psicoanalitica, avrebbe avuto una diversa fortuna, se Freud non ne avesse decretato la squalifica. In altre parole, cosa contiene questo testo per noi, oggi? E forse anche: perché Freud si accaniva contro le teorie del trauma?
Rispetto alla prima domanda, a parte alcune ingenuità, il testo, in particolare i capitoli scritti da Ferenczi, contiene riflessioni molto acute e attualissime sulle trappole del controtransfert, sul narcisismo dell’analista, sui rischi di anticipare alcune letture e di cedere al bisogno di “spiegare” al paziente. E’ un testo coraggioso, in ogni caso, che corre il rischio di parlare di ciò che veramente accade in seduta, dei limiti, delle difficoltà, delle fragilità dell’analista.
Rispetto alla posizione Etica di Freud, cioè rispetto alla domanda “perché Freud osteggiò così pervicacemente le teorie del trauma sessuale, e in generale la ricerca sul trauma originario”, le risposte possono essere molteplici. Freud certamente volle rimanere fedele ad un’idea di trauma che non si riducesse ad una dimensione storico-causale. Tuttavia, restano piuttosto oscure e intriganti le sue drastiche prese di posizione, senza appello, dal momento che egli stesso, al tempo dei suoi studi neurologici, venne a contatto con la realtà del trauma sessuale reale subìto dai bambini, all’epoca esperienza peraltro tristemente diffusa, come in seguito non solo Ferenczi, ma moltissimi analisti di seconda generazione, fra cui Alice Miller, dimostrarono e documentarono.
Rispetto al rapporto di Freud con i suoi analizzanti e collaboratori, l’autore e il discussant ci hanno permesso di toccare con mano la peculiarità della scienza psicoanalitica, l’inestricabile legame fra nuove acquisizioni di sapere e “guarigione”. Il tutto, all’interno della relazione analitica, che riguarda l’inconscio, e dunque il sapere che non si sa di sapere.
Michele Lualdi ci ha mostrato, senza veli, la ferocia dei rapporti che intercorrevano fra i vari adepti del circolo freudiano, dove le diatribe teoriche scivolavano sul terreno della patologizzazione dell’avversario; coloro ai quali il maestro voltava le spalle, o negava uno spazio, venivano gettati in un cono buio, senza speranza, che ha portato alcuni al suicidio, altri all’emigrazione, altri ancora, come nel caso di Ferenczi, alla malattia mortale. Storie di orde primitive, agli albori della psicoanalisi, storie di cui si sono mantenute vivide le tracce, per chi sa mettersi in ascolto dei testi che il maestro ha continuato a scrivere, fino agli ultimi giorni della sua vita, tormentato dalla malattia e, forse, da un passato che non passava.
Inizialmente il testo era stato preparato per un concorso, indetto da Freud fra i suoi allievi e collaboratori, per incentivare la ricerca sui temi della teoria della tecnica.
Freud scrive poco di tecnica e ancor meno di pratica. Il comportamento di Freud con i suoi pazienti, così come vengono riportati nei racconti dei collaboratori che hanno avuto diretto contatto con i suoi resoconti di sedute, appare estremamente mobile, libero dai precetti che egli sembra invece impartire, quando parla di teoria.
D’altra parte, egli ha sempre sottolineato che, scrivendo di tecnica, ha voluto porre l’accento su ciò che non andrebbe fatto, volendo lasciare libero l’analista di giocarsi, all’interno della relazione, tutte le proprie carte, senza rinnegare il proprio stile personale, dal momento che il dialogo analitico va padroneggiato un po’ come una partitura musicale.
Con questi concorsi andati deserti, tuttavia, egli costruisce una sorta di “doppio legame” con i suoi collaboratori, per lo più suoi analizzanti, e dunque immersi in complesse relazioni transferali, di dipendenza, di identificazione, di aspettative e fantasie.
Rank e Ferenczi scrivono questo testo insieme, ma sarà la loro unica collaborazione. Il breve ma intenso sodalizio, nato proprio a partire da un desiderio e da un invito esplicito di Freud, terminerà di lì a poco, quando Ferenczi, per non rinunciare all’amore e alla stima di Freud, rinnegherà la teoria del trauma della nascita, mentre Rank si rifugerà in America, per cercare di ritagliarsi uno spazio e sopravvivere alla durissima “scomunica” del maestro.
Michele Lualdi, con estrema precisione ma anche con leggerezza, ci ha permesso di seguire gli itinerari, e veramente le traiettorie, di questi due autori e degli altri del Comitato, immersi nella comunicazione ambigua e sofferta che si respirava nel “campo” dell’Associazione. Freud incentivava e promuoveva, a parole, le “escursioni in autonomia” dei due autori, mandava rassicurazioni e promuoveva concorsi, correggeva bozze, impartiva consigli, salvo poi scomunicare con durezza ogni teoria e ogni proposta che uscisse dal seminato.
Ancora dopo oltre 10 anni, nel testo “Analisi finita e infinita” (e non “terminabile e interminabile”, come è stato tradotto a suo tempo da Renata Colorni), Davide Radice ci fa notare come Freud si scagliasse con inaudita violenza e sarcasmo contro Rank, mentre “dedicava” a Ferenczi diversi passi del testo, in un dialogo sofferto e amaro, che sembra non potersi interrompere neanche davanti alla morte dell’amico e allievo di un tempo.
La domanda che possiamo porci - al di là dello sgomento che certamente ci assale, davanti a questi squarci di storia e di relazioni “transferal- istituzionali”, di cui ognuno di noi, avvezzo alle realtà delle “chiese” psicoanalitiche, può trovare traccia nella propria attualissima esperienza – è se il “catechismo” di Ferenczi e Rank, il manualetto di tecnica psicoanalitica, avrebbe avuto una diversa fortuna, se Freud non ne avesse decretato la squalifica. In altre parole, cosa contiene questo testo per noi, oggi? E forse anche: perché Freud si accaniva contro le teorie del trauma?
Rispetto alla prima domanda, a parte alcune ingenuità, il testo, in particolare i capitoli scritti da Ferenczi, contiene riflessioni molto acute e attualissime sulle trappole del controtransfert, sul narcisismo dell’analista, sui rischi di anticipare alcune letture e di cedere al bisogno di “spiegare” al paziente. E’ un testo coraggioso, in ogni caso, che corre il rischio di parlare di ciò che veramente accade in seduta, dei limiti, delle difficoltà, delle fragilità dell’analista.
Rispetto alla posizione Etica di Freud, cioè rispetto alla domanda “perché Freud osteggiò così pervicacemente le teorie del trauma sessuale, e in generale la ricerca sul trauma originario”, le risposte possono essere molteplici. Freud certamente volle rimanere fedele ad un’idea di trauma che non si riducesse ad una dimensione storico-causale. Tuttavia, restano piuttosto oscure e intriganti le sue drastiche prese di posizione, senza appello, dal momento che egli stesso, al tempo dei suoi studi neurologici, venne a contatto con la realtà del trauma sessuale reale subìto dai bambini, all’epoca esperienza peraltro tristemente diffusa, come in seguito non solo Ferenczi, ma moltissimi analisti di seconda generazione, fra cui Alice Miller, dimostrarono e documentarono.
Rispetto al rapporto di Freud con i suoi analizzanti e collaboratori, l’autore e il discussant ci hanno permesso di toccare con mano la peculiarità della scienza psicoanalitica, l’inestricabile legame fra nuove acquisizioni di sapere e “guarigione”. Il tutto, all’interno della relazione analitica, che riguarda l’inconscio, e dunque il sapere che non si sa di sapere.
Michele Lualdi ci ha mostrato, senza veli, la ferocia dei rapporti che intercorrevano fra i vari adepti del circolo freudiano, dove le diatribe teoriche scivolavano sul terreno della patologizzazione dell’avversario; coloro ai quali il maestro voltava le spalle, o negava uno spazio, venivano gettati in un cono buio, senza speranza, che ha portato alcuni al suicidio, altri all’emigrazione, altri ancora, come nel caso di Ferenczi, alla malattia mortale. Storie di orde primitive, agli albori della psicoanalisi, storie di cui si sono mantenute vivide le tracce, per chi sa mettersi in ascolto dei testi che il maestro ha continuato a scrivere, fino agli ultimi giorni della sua vita, tormentato dalla malattia e, forse, da un passato che non passava.
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